Decidere di investire nel private equity vuol dire riuscire a comprendere le dinamiche dell’asset class. I meccanismi di fondo di private equity e il ruolo dei più importanti attori definiscono il rischio e il rendimento di tale investimento.
Nel nostro Paese, il tessuto imprenditoriale è caratterizzato soprattutto da imprese a controllo familiare, con il 65% che registra un fatturato che supera i 20 milioni di euro e che stanno per confrontarsi con la sfida del cambio generazionale.
In questo tipo di panorama, i fondi di private equity rappresentano un sostegno ideale per favorire lo sviluppo delle aziende e stimolare la loro innovazione, accompagnando i nuovi azionisti e manager.
Vediamo, quindi, tutto quello che c’è da sapere su questo argomento.
Le principali caratteristiche del private equity
Il private equity rappresenta una particolare operazione in ambito finanziario che ha una durata medio-lunga nel tempo. Viene realizzata da investitori che hanno l’obiettivo di apportare capitale di rischio verso una società che, in gergo, viene chiamata target. Quest’ultima, di solito, non è quotata in borsa, e la valutazione positiva viene effettuata in base al suo trend di crescita.
Un fondo di private equity può decidere di acquisire sia aziende in campo pubblico che privato. Tale tipologia di investimento viene solitamente inserito in un gruppo che contiene anche venture capital e hedge fund come forme di finanziamento alternative.
In genere, gli investitori che fanno parte di questo tipo di attività sono tenuti a impegnare un capitale consistente per diversi anni, motivo per cui accedere a tale tipologia di investimento è consentito a istituzioni e privati che posseggono un patrimonio netto particolarmente elevato.
Le diverse fasi del private equity: quante e quali sono?
Il private equity ha un ciclo di vita che può essere suddiviso in quattro fasi distinte, ovvero:
- raccolta di capitali, il cosiddetto fundraising;
- investimento che ha come protagonista la società target; viene effettuato tramite l’acquisto di partecipazioni;
- gestione e controllo di tali partecipazioni;
- disinvestire le partecipazioni che si posseggono.
La prima fase, ovvero la raccolta di capitali, prevede che un insieme di investitori si impegnino a cercare di ottenere le giuste risorse per dar vita a un fondo.
Viene definita, in questa fase, la migliore strategia per promuovere l’investimento.
La scelta deve ricadere sull’acquisto di quote di maggioranza o di minoranza. Inoltre, bisogna decidere quale tipo di dimensioni ricercare, in quale area geografica, il settore di riferimento e così via.
Coloro che erogano capitali maggiori verso un fondo di private equity sono, solitamente, altri fondi come quelli pensionistici, assicurazioni, fondi sovrani e così via.
Durante la seconda fase si procede con il nucleo dell’azione di private equity, attività molto difficile e lunga. Questo momento può ulteriormente essere suddiviso in diversi step che sono: l’origination, l’analisi e l’esecuzione dell’operazione.
La ricerca delle opportunità viene effettuata durante la fase di origination. Dopo averla individuata si fanno le analisi del caso. Quando quest’ultime si concludono e si trova un accordo si può andare avanti procedendo con la strutturazione dell’operazione.
Tornando alle fasi principali, la terza prevede la gestione e il monitoraggio delle partecipazioni ottenute. Si tratta di azioni particolarmente delicate che possono determinare il successo del progetto che si era concordato e pianificato insieme all’investitore.
Successivamente, si passa alla quarta e ultima fase, quella di disinvestimento. In questo caso, si procede con la vendita della partecipazione che, se tutta l’operazione ha ottenuto un ottimo riscontro, consente di realizzare un capital gain, cioè un guadagno di capitale.
Gli elementi di cui tener conto sono i tempi in cui si effettua il disinvestimento, che in gergo viene anche conosciuto come exit, e il modo in cui tale operazione avviene. Generalmente, le tempistiche rientrano tra i 5 e i 7 anni per procedere con la vendita del fondo o all’acquisto da parte dei venditori precedenti.
In che modo il private equity crea valore a lungo termine: il miglioramento di performance e redditività
Nel momento in cui un fondo di private equity decide di effettuare un investimento per acquisire una società, ha già chiaro il piano per poterne accresce valore, prestazioni e redditività.
Questo tipo di strategia può includere operazioni di taglio ai costi superflui o una ristrutturazione. Tali misure, di solito, non sono prese in considerazione dalla direzione in carica dell’azienda.
Chi gestisce l’investimento ha un tempo ridotto per accrescere il valore societario. Ecco perché hanno forti motivazioni nell’apportare nella realtà aziendale dei cambiamenti redditizi e rilevanti.
In più, una società di private equity può mettere in campo conoscenze, esperienza e competenze che il management precedente non possedeva, aiutando l’azienda a realizzare strategie innovative che si avvalgono di tecnologie moderne. Un’altra possibilità, in quest’ottica, è quella di entrare in nuovi mercati.
Grazie al coinvolgimento del proprio team, una società di private equity può raggiungere con più facilità tali obiettivi. In alternativa, si possono mantenere inalterate le figure dell’azienda, concordando un piano di azione.
In ogni caso, grazie al supporto di una società di private equity, le aziende possono adottare una visione a lungo termine, sempre se non si creino dei contrasti con la visione della nuova proprietà, ovvero raggiungere il massimo ROI (Return On Investment) possibile.
L’importanza della valutazione e della gestione dei rischi operativi: quali sono i vantaggi di tale azione?
Nel campo del private equity, gli operatori di tale settore posseggono elevate competenze in ambito finanziario, di mercato e relativamente alle strategie. Ridotti, invece, sono quelle che riguardano i rischi operativi.
Quest’ultimi sono rischi connessi allo svolgimento delle varie attività, alle perdite legate ai fallimenti o alla poca efficienza dei processi interni, alle risorse umane e alle tecnologie o che derivano da fattori esterni come, ad esempio, eventi naturali catastrofici, soltanto per citarne uno.
Tali rischi sono molte volte sottovalutati e questo tipo di approccio è alquanto rischioso. Infatti, è possibile che si generino delle conseguenze negative nel breve periodo. Bisogna ricordare che le tempistiche di recupero dell’investimento effettuato sono di cinque anni. Se si concretizza un rischio di tipo operativo ci si può imbattere in perdite difficilmente recuperabili in quel lasso di tempo.
La corretta gestione dei rischi operativi, quindi, consente di mettersi in sicurezza e di usufruire di diversi vantaggi. Tra questi, uno dei più importanti è la diminuzione della volatilità, per non parlare della massimizzazione dei margini di guadagno e del valore dell’investimento.
Inoltre, aumentano anche le possibilità dei business percorribili, tutti fattori che accrescono la soddisfazione degli stakeholder.
Considerazioni finali
Come abbiamo visto, il private equity è un forte supporto per le aziende che vogliono puntare sulla crescita economica e sull’innovazione.
Queste realtà hanno spesso necessità di accedere a capitali esterni per avviare o rafforzare determinati progetti di crescita e per mettere in atto attività innovative.
Gli investitori, dal canto loro, hanno interesse nel partecipare in maniera attiva a queste sfide quotidiane, sobbarcandosi sia gli oneri che i successi.
Queste due caratteristiche si incontrano proprio nel private equity.
Per manggiori informazioni non esitate a contattarci.